L’IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE: cos’è, sintomi, diagnosi
Il colesterolo alto può dipendere da una malattia genetica: l'ipercolesterolemia familiare. Scopri come riconoscerla e quali sono le terapie più adatte.
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Il colesterolo alto può dipendere da una malattia genetica: l'ipercolesterolemia familiare. Scopri come riconoscerla e quali sono le terapie più adatte.
Quando il livello di colesterolo che circola nel sangue (colesterolo LDL più colesterolo HDL) è troppo alto si parla, generalmente, di ipercolesterolemia.
Questa condizione patologica è favorita da diversi fattori di rischio, come fumo, sovrappeso/obesità e sedentarietà, o avviene per la concomitanza di malattie metaboliche, quali il diabete. Alcune persone, invece, sono geneticamente predisposte ad alti livelli di colesterolo e, quindi, ad un alto rischio di sviluppare aterosclerosi e problemi cardiaci a partire dall’infanzia per causa dell’ipercolesterolemia familiare (FH).
L’ipercolesterolemia familiare (FH) è una malattia ereditaria in cui un’alterazione genetica provoca livelli estremamente elevati di colesterolo nel sangue. In particolare, ad aumentare è il colesterolo LDL, il cosiddetto colesterolo “cattivo”.
A causa di una mutazione, il gene LDL-R che si trova sul cromosoma 19 e codifica per il recettore delle LDL (lipoproteine a bassa densità che trasportano il colesterolo sintetizzato dal fegato alle cellule del corpo) non funziona correttamente e, quindi, non riesce a 'catturare' le particelle di colesterolo LDL e a permetterne la rimozione dal sangue.
L’ipercolesterolemia familiare può essere di due tipi:
L'ipercolesterolemia familiare (FH) è una patologia genetica estremamente frequente che interessa più di 12 milioni di persone nel mondo. In Italia, l’ipercolesterolemia familiare eterozigote colpisce circa 250.000-300.000 pazienti mentre l’ipercolesterolemia familiare omozigote circa 300-400 pazienti[1].
Le persone che soffrono di ipercolesterolemia familiare hanno un rischio 10 volte maggiore di sviluppare la malattia cardiovascolare aterosclerotica[2]. Questo a causa dell’aumento permanente dei livelli di colesterolo LDL nel sangue, che nel tempo provoca lo sviluppo di aterosclerosi (o placche aterosclerotiche), ovvero l'accumulo di grasso nel rivestimento interno delle arterie. Nelle fasi iniziali, questo è un processo silenzioso senza sintomi specifici, fino a quando la placca aterosclerotica si rompe inaspettatamente, o cresce fino a ostruire il lume del vaso, riducendo l’afflusso di sangue e causando un infarto o ictus[3].
Il riconoscimento precoce dell’ipercolesterolemia familiare in queste persone è fondamentale perché permette di individuare la giusta terapia ed evitare l’esposizione a lungo termine a livelli elevati di colesterolo LDL. Ancora troppo spesso, invece, gli specialisti riportano come questi pazienti arrivino alla rilevazione cardiologica, e quindi alla diagnosi certa di ipercolesterolemia familiare, solo a seguito di un evento cardiovascolare che, nel loro caso, può avere anche un esito fatale.
La forma eterozigote è spesso asintomatica e viene diagnosticata solo in base ai livelli di colesterolo nel sangue; anche se può comportare un aumento del rischio di malattie cardiovascolari in età adulta.
La forma omozigote, invece, è caratterizzata dall’insorgenza di malattie cardiovascolari anche in giovane età e dalla presenza di accumuli caratteristici di grasso come xantomi (noduli di colore giallastro sulle nocche delle mani e sul tendine di Achille), xantelasmi (placche giallastre sulle palpebre) e arco corneale (depositi di grasso intorno all’iride).
La diagnosi di ipercolesterolemia familiare può essere fatta sulla base dell’anamnesi personale e familiare del paziente e sull'identificazione di alcuni segni clinici che, se presenti, sono indicativi della malattia: i più comuni sono, appunto, gli xantomi e e gli xantelasmi.
La conferma diagnostica si ottiene, però, solo mediante specifici test genetici che individuano le mutazioni coinvolte nell’esordio della malattia.
Chi soffre di ipercolesterolemia familiare la prima raccomandazione è quella di seguire una dieta a basso contenuto lipidico, in associazione a una terapia ipolipemizzante impostata sull’uso di vari farmaci, fra cui statine, ezetimibe, sequestranti degli acidi biliari e niacina.
In aggiunta alla terapia, per i pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare omozigote sarà inoltre necessario ricorrere alla rimozione meccanica del colesterolo LDL dal sangue, utilizzando una meccanica simile alla dialisi, chiamata aferesi lipoproteica.
Recentemente, grazie ai progressi farmaceutici, sono stati fatti importanti passi avanti nella terapia dell’ipercolesterolemia familiare con l’arrivo di nuovi trattamenti come la lomitapide, gli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 e terapie innovative come i siRNA che si basano sulla RNA interference (RNAi). La ricerca inoltre prosegue e prossimamente saranno a disposizione anche approcci basati su editing genomico, l'utilizzo di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) e la terapia genica.
Una strategia efficace, basata sulla corretta terapia ipolipemizzante, resta quindi il cardine nella gestione clinica dei pazienti con ipercolesterolemia familiare.
Gli effetti potenzialmente fatali delle forme eterozigote e omozigote sono legati al conseguente aumento del colesterolo LDL plasmatico, la ritenzione di colesterolo da parte della parete arteriosa e la formazione di cellule schiumose all’interno delle arterie, condizione che tipicamente progredisce ad aterosclerosi occlusiva con angina pectoris o rottura della placca con conseguente infarto del miocardio o ictus.
L’ipercolesterolemia familiare è uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare, oltre che una patologia genetica cronica.
Chi è affetto da questa patologia ha quindi diritto all’esenzione, tramite un codice assegnato dallo Stato, che consente di non pagare il ticket relativo ad alcune prestazioni relative al trattamento dell’ipercolesterolemia familiare.
Il codice di esenzione dell'ipercolesterolemia familiare eterozigote è 025 (Malattie croniche), valido per la FH eterozigote di tipo IIa e di tipo IIb, per la FH combinata e per altre dislipedemie.
Il codice di esenzione dell'ipercolesterolemia familiare omozigote è RCG070 (afferisce al gruppo “Difetti congeniti del metabolismo delle lipoproteine”), valido per FH omozigote di tipo IIa e di tipo IIb e per altre dislipedemie rare.
L'esenzione deve essere richiesta all'Azienda sanitaria locale di residenza, presentando una certificazione che attesti la presenza della malattia rilasciata da una struttura ospedaliera o ambulatoriale pubblica.
L'iperlipidemia familiare combinata, anche nota come ipercolesterolemia familiare combinata, è un disturbo genetico del metabolismo dei lipidi che comporta la presenza di livelli eccessivamente elevati di colesterolo e di trigliceridi nel sangue già a partire dall'età adolescenziale.
Questa condizione può essere asintomatica o provocare episodi di angina pectoris (dolore al torace causato da una ridotta ossigenazione del cuore); in generale, predispone al rischio di sviluppare malattie coronariche e, di conseguenza, di andare incontro a infarto, già in giovane età.
La malattia ha una base genetica, per cui in una famiglia possono trovarsi più membri affetti. Non sono ancora stati individuati il gene o i geni responsabili.
Nordestgaard BG, Chapman MJ, Humphries SE, Ginsberg HN, Masana L, et al. European Atherosclerosis Society Consensus Panel. Familial hypercholesterolaemia is underdiagnosed and undertreated in the general population: guidance for clinicians to prevent coronary heart disease: Consensus Statement of the European Atherosclerosis Society. Eur Heart J. 2013; 34: 3478- 3490
Youngblom E, et al. Familial hypercholesterolemia. In: Adam MP, et al, eds. GeneReviews® [Internet]. Seattle, WA: University of Washington, Seattle; 1993-2020. Published January 2, 2014. Updated December 8, 2016
Grundy SM, et al. 2018 AHA/ACC/AACVPR/AAPA/ABC/ACPM/ADA/AGS/APhA/ASPC/NLA/PCNA Guideline on the Management of Blood Cholesterol: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Clinical Practice Guidelines. Circulation. 2019;139(25): e1082-e1143