L'infarto STEMI (ST-Elevation Myocardial Infarction) è una delle forme più gravi di attacco cardiaco, caratterizzato da un'occlusione completa di una delle arterie coronarie che forniscono sangue al cuore.
Questo tipo di infarto si distingue per un'alterazione specifica visibile nell'elettrocardiogramma (ECG). Senza un intervento immediato, il tessuto cardiaco può subire danni irreversibili, compromettendo in modo permanente la funzione del cuore e aumentando significativamente il rischio di morte.
Cosa significa Infarto STEMI
L'infarto STEMI rappresenta una delle emergenze cardiologiche più gravi e richiede un intervento tempestivo per salvare la vita del paziente. Questo tipo di infarto si verifica quando una delle arterie coronarie, che fornisce sangue ricco di ossigeno al cuore, è completamente occlusa da un trombo (coagulo di sangue) o da una placca aterosclerotica rotta.
Di conseguenza, una vasta area del muscolo cardiaco non riceve più il necessario apporto di ossigeno e nutrienti, mettendo a rischio la sua sopravvivenza.
L'obiettivo primario nel trattamento di un infarto STEMI è riaprire l'arteria occlusa il più rapidamente possibile, ripristinando il flusso sanguigno e limitando l'estensione del danno.
Questo può essere ottenuto attraverso procedure di rivascolarizzazione come l'angioplastica coronarica con stent, che permette di riaprire l'arteria bloccata e mantenere il flusso sanguigno. In alcuni casi, quando l'angioplastica non è immediatamente disponibile, può essere somministrata una terapia trombolitica per dissolvere il coagulo.
Il tempismo è cruciale poiché ogni minuto che passa senza ripristinare il flusso sanguigno aumenta il danno al cuore.
Come viene rilevato l’infarto STEMI a livello di ECG
L'infarto STEMI viene diagnosticato principalmente attraverso l'elettrocardiogramma (ECG), uno strumento essenziale che registra l'attività elettrica del cuore.
In presenza di un infarto STEMI, l'ECG mostra alterazioni caratteristiche che segnalano un'ischemia acuta, ovvero una riduzione drastica del flusso sanguigno al muscolo cardiaco a causa di un blocco in una delle arterie coronariche principali.
La caratteristica distintiva dell'infarto STEMI sull'ECG è l'elevazione del tratto ST. Questo tratto rappresenta la fase in cui i ventricoli del cuore, dopo essersi contratti per pompare il sangue, iniziano a prepararsi per la successiva contrazione.
L'ECG è uno strumento rapido e non invasivo, che può essere eseguito praticamente ovunque, rendendolo cruciale per la diagnosi tempestiva di un infarto STEMI. Un riconoscimento rapido delle alterazioni del tratto ST permette ai medici di intervenire immediatamente, applicando le opportune terapie per riaprire l'arteria occlusa, limitare i danni al cuore e salvare la vita del paziente.
STEMI anteriore, inferiore o posteriore: le diverse tipologie di infarto miocardico
Si distinguono 3 tipi di STEMI (anteriore, inferiore e posteriore) che non solo indicano dove si è verificato il danno nel cuore, ma possono anche influenzare la gravità dell'infarto e le strategie di trattamento. Conoscere la localizzazione dell'infarto è fondamentale per i medici, poiché ogni tipo di STEMI può richiedere un approccio terapeutico specifico.
STEMI anteriore: è uno dei più gravi poiché coinvolge la parte anteriore del cuore. Questa zona è cruciale per la funzione di pompaggio del cuore e un'ischemia in quest'area può portare a danni estesi e compromissione significativa della funzione cardiaca
STEMI inferiore: colpisce la parte inferiore del cuore e sebbene possa essere meno esteso rispetto a un STEMI anteriore, può comunque essere pericoloso, soprattutto se associato a complicazioni come aritmie
STEMI posteriore: è meno comune e più difficile da diagnosticare, poiché le alterazioni dell'ECG sono meno evidenti. Può essere particolarmente insidioso poiché i sintomi e i segni possono essere meno evidenti, ritardando il trattamento.
Differenza tra infarto STEMI e non STEMI
Esiste anche un altro tipo di infarto chiamato non-STEMI che è una forma di attacco cardiaco che si verifica quando un'arteria coronarica è parzialmente bloccata.
Questo blocco parziale riduce il flusso di sangue e ossigeno al cuore, causando danni al tessuto cardiaco, ma non in maniera così estesa come accade in un infarto STEMI, dove l'arteria è completamente occlusa.
La principale differenza riguarda le caratteristiche dell'elettrocardiogramma (ECG) in cui, caso di un infarto non STEMI, non si osserva l'elevazione del tratto ST ma altre alterazioni, come la depressione del tratto o l'inversione dell'onda.
Un'altra differenza significativa è legata alla gravità, poiché nel caso dell’infarto non STEMI, il flusso di sangue non è completamente interrotto e quindi il danno al cuore tende a essere meno esteso.
I soggetti a rischio
Le persone a rischio di STEMI sono caratterizzate da una serie di fattori di rischio cardiovascolare che contribuiscono alla compromissione della funzione cardiaca e all'occlusione delle arterie coronarie, come l'ipertensione arteriosa, il diabete mellito, l'ipercolesterolemia e il fumo di tabacco. Inoltre, individui che hanno già subito un precedente infarto del miocardio, interventi coronarici come l'angioplastica o il bypass aortocoronarico, o che hanno una diagnosi di malattia coronarica documentata, sono a maggior rischio di sviluppare un STEMI.
Anche l'età avanzata può essere un fattore di rischio indipendente per gli eventi cardiovascolari. Inoltre l'esposizione a stress fisici o emotivi intensi, può innescare una serie di reazioni fisiologiche nel corpo, come l'attivazione del sistema nervoso simpatico e l'aumento del rilascio di ormoni dello stress che possono contribuire alla comparsa di eventi cardiaci acuti come lo STEMI.
Diagnosi e primi interventi
La diagnosi è un momento cruciale e si basa sia sui sintomi del paziente sia sulle alterazioni dell'ECG. I sintomi possono essere diversi, ma spesso includono un dolore toracico intenso, che è il segnale d'allarme principale. Tuttavia, la presentazione clinica può variare ampiamente e può includere anche sensazioni di malessere generale, affaticamento, nausea, difficoltà a respirare, sudorazione intensa, etc.
È vitale agire rapidamente, preferibilmente entro i primi 90 minuti, per ridurre al minimo il danno al cuore e l'azione tempestiva è assolutamente cruciale per proteggere il cuore e massimizzare le possibilità di sopravvivenza e recupero del paziente.
Angioplastica coronarica con stent
La procedura che viene eseguita si chiama angioplastica coronarica con stent, durante la quale un catetere viene inserito in un'arteria (di solito nell'inguine o nel polso) e guidato attraverso il sistema vascolare fino alla sezione dell'arteria coronarica che è ristretta.
All'estremità del catetere c'è un piccolo palloncino sgonfio e quando il catetere raggiunge il punto ristretto dell'arteria, il palloncino viene gonfiato con un fluido. Questo gonfiaggio fa espandere il palloncino, che a sua volta allarga l'arteria ristretta, comprimendo la placca contro le pareti arteriose. Questo processo aiuta a ripristinare un flusso sanguigno adeguato attraverso l'arteria, riducendo il rischio di ulteriori problemi cardiaci. Per garantire che l'arteria rimanga aperta, viene posizionato un piccolo tubicino metallico chiamato stent nel punto in cui è stata ripristinata la circolazione.
La procedura può salvare vite e migliorare significativamente la qualità della vita dei pazienti colpiti da infarto. Tuttavia, come ogni procedura medica, comporta alcuni rischi, tra cui la restenosi, in cui l'arteria può restringersi nuovamente, oppure la trombosi dello stent, in cui un coagulo può formarsi all'interno dello stent, e infine complicazioni relate alla procedura invasiva e all’utilizzo di cateteteri come infezioni o danni ai vasi sanguigni.
La gestione post-operatoria
Terminato l’intervento, il paziente viene trasferito nell'Unità di Terapia Intensiva Cardiologica per garantire un monitoraggio intensivo dei parametri vitali (come la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca e i livelli di ossigeno nel sangue) e un’osservazione attenta al sito di inserzione del catetere, per rilevare eventuali segni di sanguinamento, ematomi o infezioni.
Tra i farmaci somministrati ci sono anticoagulanti e antiaggreganti (es. aspirina), per prevenire la formazione di coaguli attorno allo stent e, se necessario, vengono forniti anche analgesici per alleviare il dolore post-operatorio oltre a quelli per il controllo della pressione arteriosa e del colesterolo.
Se le condizioni lo permettono, dopo qualche giorno il paziente viene trasferito in un reparto di degenza cardiologica per un monitoraggio continuo ma meno intensivo. In questa fase inizia anche un programma di riabilitazione cardiaca leggera, con esercizi semplici e indicazioni su come aumentare gradualmente l'attività fisica.
Dimissione e follow-up
Al momento della dimissione, al paziente vengono fornite istruzioni dettagliate riguardanti la gestione del sito di inserzione del catetere, la corretta assunzione dei farmaci prescritti e l'identificazione dei segnali di allarme che richiedono un'attenzione medica immediata.
Se necessario il paziente può essere trasferito nelle strutture disponibili sul territorio per la riabilitazione cardiologica, monitoraggio clinico prolungato e recupero funzionale.
Il paziente dimesso al domicilio riceve inoltre un programma per riprendere gradualmente le attività quotidiane e incrementare l'esercizio fisico. Le visite regolari con il cardiologo sono programmate in base al profilo clinico e di rischio del paziente per monitorare lo stato di salute, valutare l'efficacia dei farmaci e, se necessario, eseguire ulteriori approfondimenti diagnostici come elettrocardiogrammi, ecocardiogrammi e stress test per garantire il corretto funzionamento del cuore e la pervietà delle arterie.
Articolo a cura del Prof. Fabrizio Oliva, Direttore S.C. Cardiologia 1-Emodinamica, De Gasperis Cardiocenter, ASST Grande Ospedale Metropolitano, Niguarda Milano